Molti interventi, a
partire dall’introduzione dei fiorentini, si sono soffermati sulle
dinamiche repressive e le pratiche di delegittimazione messe in atto sia
con gli sgomberi che con l’aggressione mediatica, sul continuo soffiare
sul fuoco del razzismo e sull’attacco del governo Renzi verso chi si
organizza collettivamente ma anche individualmente contro le politiche
di austerity. L’articolo 3 del decreto Lupi mette infatti mano
violentemente alla dismissione delle case popolari, producendo forti
tensioni soprattutto nelle periferie e ci obbliga a comprendere come
stare dentro queste contraddizioni per allargare il conflitto e la
rivolta nei confronti di questa guerra di classe, dall’alto contro i
ceti popolari. Del resto non hanno soluzione di continuità le resistenze
territoriali che hanno conosciuto nuove pagine di lotta con le vicende
di Genova e Carrara, dove la rabbiosa reazione ha saputo individuare
responsabilità precise nei disastri e nelle vittime. Solo la decisa e
totale critica alle istituzioni e il protagonismo diretto, anche
meticcio, degli abitanti sono in grado di generare importanti processi
di autonomia nel conflitto.
Da Milano sono
arrivati, in uno spirito unitario, differenti contributi dalle
resistenze che i quartieri stanno producendo. San Siro ha raccontato
delle oltre diecimila case sfitte del Comune e della Regione, del
proclama dei 200 sgomberi e del ruolo della stampa nell’aggressione ai
movimenti, a partire dal Corriere della Sera che ha parlato di
immobiliare rossa e nera, utilizzando in maniera distorta e strumentale
la questione del racket. Dentro una Milano dove la torta dell’Expo se la
sono già spartita e mangiata e dove Lega e Casapound provano a
raccogliere consensi. Invece la dimensione del consenso delle colazioni
antisfratto e della resistenza degli abitanti contro gli sgomberi ha
espulso polizia ed ALER, affrontandole come corpo estraneo ai territori,
mentre intorno alla questione della vendita del patrimonio pubblico i
comitati, prima sotto attacco, oggi iniziano a percepire una solidarietà
diffusa.
Anche dal
Giambellino sono arrivati racconti interessanti su come, a partire dalle
ronde antiabusivi che inizialmente sembravano prendere piede anche con
l’aiuto dei media, tra gli abitanti delle case popolari e gli altri
residenti, tra migranti e autoctoni, spesso soggetti impolitici si sta
sviluppando un meccanismo di solidarietà. Al Corvetto si sta dispiegando
una resistenza importante, dove il protagonismo degli abitanti sta
producendo un conflitto reale dalle molteplici forme, anche molto
radicali, consegnandoci l’immagine di una città complessa dentro uno
scenario dove la rendita immobiliare viene contrastata da
un’intelligenza collettiva in grado di produrre coordinamento e
scompaginamento nella capacità di gestione del blocco dei flussi, mentre
avviene uno sgombero. Un’agitazione diffusa non simulata ma reale, che
ferma la mobilità in più punti, genera consensi, ottiene risultati.
Nel merito delle iniziative Milano
ha lanciato un weekend lungo che inizia il 4 dicembre con la
mobilitazione dei comitati, prosegue il 6 dicembre con la proposta anche
di un’iniziativa nazionale dislocata, per finire il 7 con la
mobilitazione in occasione dell’inaugurazione della stagione della Scala.
Le mobilitazioni intorno all’uso del patrimonio pubblico,
all’autorecupero, alla sanatoria vanno declinate dentro percorsi e
processi che siano in grado di costruire anticorpi e punti di
riferimento stabili contro xenofobia e fascio-leghismo. In questo senso
si giudica molto peggiorato l’aggregato sociale che si sta addensando
intorno alla giornata del 5 dicembre promossa dai forconi. Mentre dentro
la giornata del 12 dicembre, anniversario della strage di stato di
piazza Fontana, si proverà a declinare un ragionamento sulle nuove
strategie della tensione.
Bologna si è
soffermata sull’esito del voto in Emilia-Romagna e sul ruolo del Pd
nella sua funzione di comando, di riorganizzazione della città basata su
nuove cementificazioni e profitti per la rendita, ma anche di gestione
dei conflitti attraverso formule di mediazione con le quali i movimenti
si devono misurare, incassando risultati per rilanciare le lotte.
Spiegando il protocollo Bologna come forma di “requisizione morbida”, i
compagni intervenuti hanno raccontato l’impatto e le preoccupazioni che
le occupazioni abitative e le lotte sono oramai in grado di produrre,
come minaccia concreta, nei confronti dell’amministrazione comunale, al
tempo del piano casa e dell’articolo 5. Abbiamo generato, a partire da
percorsi materiali e vivi, aspettative e desideri in grado di tenere
insieme una tensione verso il possibile, con la spinta verso la
sovversione di un presente e di un futuro che vorrebbero già scritti.
Anche dentro connessioni rilevanti con il mondo delle lotte della
logistica, a politicizzare “la povertà” e produrre una polarizzazione
del conflitto senza mediazioni al ribasso, dentro una difesa della
dignità in grado di sviluppare in avanti, nei territori, rottura della
solitudine ed organizzazione della rabbia, anche quella di cui è carico
il proletariato giovanile. Per fare questo si deve andare ben oltre
l’autorappresentazione del ceto politico, anche di movimento, e portare
fino in fondo lo scontro contro la rendita, strappando suolo, reddito e
vita metro dopo metro, minuto dopo minuto. La mobilitazione contro il
SAIE che ogni hanno si tiene nel capoluogo emiliano ha consentito di
portare la nostra critica alle proposte di social housing, dando fiato e
visibilità alle battaglie per l’autorecupero dentro le pratiche di
riappropriazione urbana.
L’intervento di
Napoli si è soffermato sull’estrema fragilità dei molteplici percorsi
territoriali, chiamando ad intrecciare sempre con più decisione le lotte
tra e dentro i territori stessi. La sperimentazione napoletana ha messo
in connessione nei percorsi della lotta per la casa precari e
disoccupati, tutti quei soggetti che subiscono processi di impoverimento
dettati dalle politiche del governo e dalla Troika, ponendo al centro
la battaglia contro lo Sblocca Italia e la vicenda di Bagnoli come
proposte di attivazione e mobilitazione collettiva.
Pisa ha messo in
evidenza la frammentazione esistente nelle periferie e la necessità nei
territori di darsi forme organizzative utili ad un processo di
ricomposizione di classe, imparando a misurarsi con la ruvidezza dei
quartieri e chiedendosi se siamo, e come possiamo essere all’altezza
dello scontro in atto. C’è la convinzione condivisa che non saranno
l’ideologia, la testimonialità, ne il politicismo a risolverci i
problemi. Solo nuovi legami e nuove connessioni sociali ci consentiranno
di fermare la prepotenza degli articoli 3/4/5 del decreto Lupi e di
rovesciare lo stato di cose presenti. Le forme dell’autorganizzazione,
stile Primavalle a Roma, possono rompere le dinamiche prodotte dai
sindacati degli inquilini, ma rappresentarci solo nella nostra identità
non sarà sufficiente. La solidarietà con Milano deve essere materiale
nel week end del 6 e 7 dicembre.
Torino ha
sottolineato come il Piano casa sia la risposta repressiva al 19
ottobre, così come l’utilizzo dell’articolo 610 per l’esecuzione degli
sfratti. La pratica dell’obiettivo che abbiamo agito ha anche prodotto
una decimazione degli attivisti ma non ha spento la funzione degli
sportelli, che continuano ad essere usati largamente da chi vive
l’emergenza abitativa. Questo consente di mantenere dinamiche di
resistenza e favorisce azioni ricompositive come quella del 16 ottobre,
anche dentro soggettivazioni articolate e non lineari, con fiammate e
riflussi che si alternano. Fondamentale il ritorno in piazza in massa
dei movimenti per il diritto all’abitare con una mobilitazione
articolata e capace di scardinare i decreti attuativi del piano casa. Il
7 e 8 dicembre, infine, i movimenti per l’abitare piemontesi e non solo
saranno impegnati nelle giornate di lotta lanciate dal movimento No tav
in Val di Susa.
Parma ha concentato
l’intervento sulla campagna contro i distacchi delle utenze, mettendo in
evidenza la validità delle iniziative dislocate e la necessità di
approfondire la relazione tra le multiutility dell’energia e il decreto
Sblocca Italia. La mobilitazione dei mesi scorsi contro la multiutility
IREN e la sua occupazione hanno prodotto un buon risultato:
l’attivazione di uno sportello per i distacchi che affronta le
situazioni di morosità incolpevole, costringendo l’azienda a fare i
conti con una realtà, quella parmense, profondamente cambiata dalla
crisi e dove si fa ancora fatica, per la vergogna, a intercettare
l’emergenza legata alle morosità.
Palermo ha messo in
forte evidenza la funzione della rete Abitare nella crisi e la necessità
di individuare gli strumenti necessari per affrontare la questione
della ricomposizione sociale. L’attacco mediatico e l’uso della lotta
tra poveri che ci racconta Milano ci impone non solo una riflessione, ma
anche una mobilitazione sempre più meticcia e sempre più estesa.
Roma ha sviluppato
un’analisi del modello di società solvibile che Renzi sta premiando nei
suoi interessi materiali, sviluppando una sorta di autonomia di classe
della rendita, della finanza e dell’impresa contro di noi. Ragionando
della necessità di non cadere nella trappola “della produzione di nuovi
posti di lavoro”, nel ricatto della produttività che viene presentata
come unica prospettiva di un modello di sviluppo che sta mostrando la
sua potenza devastatrice, c’è bisogno di organizzare i settori del non
voto, del rifiuto, dell’estraneità, dell’irrappresentabilità e
dell’irriducibilità, le soggettività del conflitto e della rabbia.
Indicando come strada quella di ripartire dalla pratica dei bisogni
dentro nuovi processi di aggregazione, autorganizzazione,
riappropriazione.
Dentro questo
scenario si è anche preso atto delle scelte diverse che stanno
attraversando i movimenti. Se dentro e dopo il 19 Ottobre 2013 si era
avviato un processo di scardinamento e insieme di nuova ricomposizione
delle dinamiche sociali contemporanee, si coglie oggi dentro alcune
scelte il rischio di tornare a modalità già conosciute, che non tengono
conto delle necessità di rimettere radicalmente in discussione le
soggettività esistenti dentro una nuova fase di conflitto e
sperimentazione. Con il contributo dei territori bisogna, attraverso
contenuti chiari, ricostituire la minaccia e l’inquietudine prodotte
fino al 12 Aprile 2014. I recinti di movimento non ci aiutano e ci
scoprono di fronte all’aggressione delle controparti.
La rete Abitare
nella crisi si rivedrà il 21 dicembre a Milano per un’assemblea pubblica
che vuole aprire un percorso di costruzione di mobilitazione verso Expo
2015.
A partire dal 31
gennaio 2015, con la marcia dei territori solidali e resistenti e delle
periferie in lotta dislocata in decine di città per darci quello scatto
in più che in primavera ci consenta di mettere in piedi un momento
nazionale di più giorni sui temi delle pratiche di riappropriazione e
rigenerazione urbana e dei territori, sul consumo di suolo, sul ruolo
della rendita nella precarizzazione della vita in ogni sua forma.
Ragionando anche sull’ipotesi di corteo nazionale per il diritto
all’abitare contro rendita e precarietà, per il reddito verso Expo 2015
come contributo alle mobilitazioni previste per maggio-giugno.
Infine, si è
insistito anche sulla necessità di intensificare il conflitto sulla
questione utenze, distacchi, morosità nel periodo di Natale contro le
previste bollette aumentate, a partire da quella dell’acqua.
Tutti gli appuntamenti:
4 dicembre manifestazione dei comitati a Milano
6/7 dicembre iniziative a Milano e dislocate nei territori
21 dicembre assemblea nazionale a Milano
31 gennaio 2015
mobilitazioni in decine di città in tutta Italia per il blocco degli
sfratti e degli sgomberi, contro il Piano casa e la vendita del
patrimonio pubblico, contro l’agressione della rendita che precarizza
vite e territori
Febbraio appuntamento da definire di Abitare nella crisi a Napoli,
Abitare nella crisi
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